CASE HISTORY: la passività tumultuosa dell’attesa nella passione amorosa
Cristina ha 18 anni, è attratta da Mirko, un bel ragazzo ventiquattrenne. Lui da tempo ha messo gli occhi su di lei e da circa un mese si frequentano. Una notte durante una festa lui le chiede se vuole ufficializzare la loro relazione. Cristina accetta. Trascorrono la serata nello stesso ambiente, ma ognuno si relaziona con i propri amici. Poi, un po’ brilli, finiscono a letto, è la loro prima volta. Chiedo a Cristina come è stato: «Non so, avevamo bevuto, sì, c’era passione, ma eravamo brilli». La sera dopo si incontrano sotto casa di lei, poco dopo arrivano gli amici di lui e iniziano «a cazzeggiare». Mezz’ora dopo lei deve rientrare a casa, ha l’esame di maturità e c’è da studiare. In seduta Cristina racconta di essere molto attratta da Mirko e anche contenta del fatto che lui non è «asfissiante» come il precedente fidanzato. Lui è bello, socievole, volitivo e indipendente. Chiedo a Cristina se è felice, mi risponde che «non sa, che c’è qualcosa che non le torna». Ecco una storia emblematica di come una giovane coppia sta cercando di non fare i conti con la dipendenza amorosa. È vero non «manca l’aria», ma tuttavia manca qualcosa di vitale: manca l’esperienza della dipendenza dall’altro che si traduce nel sentimento di attesa che in absenzia non consente all’aspirante innamorato di definirsi come tale. Ecco cosa non torna a Cristina: è contenta di Mirko, un ragazzo pieno di qualità, che le piace e corrisponde al suo ideale estetico, ma si è trattenuta dal renderlo prezioso e quindi insostituibile. In questo modo non deve provare la frustrazione della dipendenza e il tumulto emotivo dell’attesa, ma nel frattempo ha perso il filo rosso dell’innamoramento.
È una storia emblematica del nostro tempo, perché oggi l’attesa è vista come uno scandalo. Viviamo in una società individualista dove «l’uomo che non deve chiedere mai» o la donna del «perché io valgo» aborrono l’attesa che appare ingloriosa, anacronistica e indicatrice di un intollerabile squilibrio tra le parti. Chi detiene il potere riesce a non attendere, ma a far attendere. Insomma, l’attesa è fuori moda e ci si difende dallo sperimentarla al prezzo di inaugurare relazioni che assomigliano a storie di reciproco e condiviso uso delle qualità dei contraenti.