Equivoci d’amore: quando la «relazione pura» assedia la «relazione d’amore»
Il sociologo Antony Giddens tratteggia nel suo saggio La trasformazione dell’intimità il modo attuale di intendere la qualità di una relazione. Definisce relazione pura quel modo di stare insieme che ha fondamento nel «per quanto ne può derivare a ciascuna persona» e vincola la sopravvivenza di tale relazione alla «misura in cui entrambi i partner ritengono che dia a ciascuno di essi abbastanza soddisfazioni da indurre a proseguirla». Così intesa la relazione enfatizza implicitamente il peso della sessualità. Quasi che il concetto di buona relazione debba, senza alcuno scarto, coincidere con la passione sessuale intensa, con l’affiatamento erotico. Ma questa moderna cornice interpretativa della relazione amorosa è all’origine del suo indebolirsi, nel momento in cui l’appagamento sessuale diventa l’elemento chiave per la continuità o l’interruzione del rapporto.
Da sempre ogni coppia ha desiderato che l’amore potesse declinarsi all’infinito, eppure oggi nessuna di queste può fare a meno di misurarsi attraverso il codice della «relazione pura». La tenuta di una relazione pura è un’operazione di alta ingegneria emotiva e sessuale, che rende assai fragile il rapporto amoroso, messo subito in discussione non appena non più rispondente ai suoi canoni: dev’essere una relazione speciale, che ha come fondamento e orizzonte l’emozione intensa (in primis appunto quella sessuale). Ma se si aspira all’amore e a una relazione che tende all’infinito bisogna guardarsi allora dall’assumere questi codici interpretativi per misurare i sentimenti. Oggi spesso si tende a confondere la relazione pura con la relazione d’amore. Quest’ultima si fonda su ben altro, in particolare sulla capacità di donare al nostro amato la mancanza che la sua venuta ha discoperto in noi. Insomma, la relazione d’amore origina dalla nostra particolare capacità di donare la nostra fragilità al partner e non dalla sua bravura nel farci esperire emozioni. Purtroppo la confusione dei codici è un tragico equivoco che prelude a precoci interruzioni di rapporto, facendo pensare ai più che l’amore sia alla fine una fregatura.
È il caso di dire che si prendono lucciole per lanterne. A ben vedere il partner in una relazione pura non è speciale, ma è piuttosto il mezzo per vivere in una relazione speciale. Il complice del nostro bisogno – culturalmente indotto – di costruire una relazione speciale, sotto l’egida di esperienze sempre nuove e intense. A guardarla bene però questa relazione pura è una costruzione passionale essenzialmente solitaria, dove la complicità è scambiata per intimità. Secondo il suo codice di senso infatti «tu vali per me per quante soddisfazioni lo stare con te mi procura». Eppure è questo oggi il modello in cui più spesso si rispecchia la coppia.
Ma che speranza di tenuta può avere una relazione di questo tipo, la cui sopravvivenza è determinata dai moti della passione e dell’emozionalità? Forse nessuna. Del resto la breve durata della relazione pura è inscritta nella sua stessa definizione, ma accade spesso che se ne utilizzino i codici per misurare la qualità di una relazione d’amore. Che pasticcio! Non si può misurare l’amore, la cui aspirazione è accogliere la finitezza delle esistenze in un progetto infinito, con la serialità effimera delle emozioni e dei godimenti tipici della relazione pura. Si tratta di un tragico fraintendimento e può accadere che le relazioni d’amore si sfaldino solo perché i loro attori le hanno misurate con il codice sbagliato.
CR