Femminicidi ed educazione affettiva nelle scuole

Ogni volta che che un femminicidio conquista la ribalta dei media si ripropone l’opportuno tema di come arginare questo tipo di crimine, e insieme a esso si associa invariabilmente l’idiota soluzione dell’educazione affettiva da attuarsi nelle scuole. L’educazione affettiva sarebbe quindi auspicata come nuova materia di studio nei programmi scolastici e qui, alla tragedia delle ragazze assassinate, si coniuga il ridicolo degli opinionisti che la evocano. Il punto è che la scuola non è stata concepita per educare, ma per istruire. E l’amore o l’affetto non dipendono dall’istruzione, perché non dipendono dalle regole. Le regole si possono imparare, l’educazione no. L’etimologia del termine «educare» ci aiuta a comprendere l’idiozia della proposta. Educare deriva, infatti, dal verbo latino educēre «trarre fuori, allevare», quindi la parola educazione è riferibile solo all’atto che trae fuori nel giovane le capacità che sono già insite in lui e che non dipendono affatto dall’apprendimento di nessuna regola (anche se l’apprendimento delle regole può essere a propria volta educativo). Se s’istituisse, dunque, un insegnamento basato sull’«educazione affettiva», questa nuova materia non sarebbe che una brutta copia dell’educazione civica che nessuno ha mai davvero imparato a scuola, perché nessuna educazione può mai ridursi all’apprendimento di una regola.
L’educazione non s’impara a scuola, non si fa a scuola, perché i primi educatori dei ragazzi sono sempre stati i genitori. L’educazione è sempre imparare ad amare e a rispettare, e ciò non può che transitare attraverso la capacità dei genitori di mostrare – non di insegnare – come la rinuncia al proprio narcisismo sia il più potente viatico all’amore. E purtroppo, adesso e da due secoli almeno, i genitori sono divenuti educatori sempre più confusi e inconsapevoli, per esempio perché idealizzano i figli, o perché non sanno incarnare il valore della rinuncia, e si ritengono colpevoli d’imporre loro le regole, come se l’amore consistesse nel permettere di farsi beffe di queste ultime. In fondo, il vero problema del nostro tempo è proprio questo: la politica e gli opinionisti si fanno portavoce dell’istanza educativa di una generazione di educatori che è ossessionata e indirizzata dalle regole del politically correct, e non è stata educata all’atto del rispetto e dell’amore, come se le regole potessero vicariare l’incapacità d’amore.

CR