Il confuso abuso del concetto di «libertà» nell’adolescente

Negli adolescenti problematici di oggi riscontro talora una esiziale confusione tra la «libertà di essere» e la «libertà di fare». Ma se la prima – la libertà di essere – è l’auspicabile conquista di un compiuto sviluppo emotivo che coincide con l’emanciparsi dall’ombra del desiderio genitoriale e, insieme, con l’accettazione del limite incarnato dall’Altro; la seconda – la libertà di fare, di dispiegarsi fattivamente nel mondo – ne è la virtuosa conseguenza, quando orientata da un desiderio creativo sostenuto dalla conquistata libertà d’essere. Ma, se la libertà di fare non è un’emanazione della conquistata libertà di essere, tracima fatalmente in un «fare o non fare» esclusivamente orientato dalla mortifera bussola del godimento, che impantana fatalmente l’orizzonte esistenziale dell’adolescente. Allora in questi ragazzi la «libertà di fare» coincide confusamente con una «libertà di godere» che, se pur non dichiarata, autorizza loro a fare o, anche, a non fare. Questi ragazzi si muovono sotto le insegne di un travisato concetto di libertà, interpretato egocentricamente, sordo all’istanza sociale e indifferente ai suoi esiti autodistruttivi, per esempio: non studiare, non andare a scuola, angosciare usando le narrazioni sul genere, aggredire, distruggere, scandalizzare, cambiare opinione continuamente ecc. Ignorare le aspettative sociali, scolastiche, genitoriali, se non gradite, evocando la libertà – ma confondendo la libertà d’essere con quella di godere – è un movimento che non ha il sapore della sfida al genitore, questi non è più un autorevole argine con cui fare i conti, ma solo più un fastidioso intralcio da educare al silenzio, affinché nulla abbia a pretendere che possa porre un limite alla loro libertà di godere; né si rintraccia in questi ragazzi un accenno di colpa, ingrediente emotivo che ha sempre insaporito le sfide, anche quelle più dure, all’autorità genitoriale delle precedenti generazioni. La libertà di essere e quindi di potersi determinare nel mondo delle relazioni, del lavoro e dell’amore, oltreché della sessualità è, lo sappiamo, anche nell’esito sociale del riconoscere un limite al proprio fare e al proprio godere, o detto più prosaicamente al «faccio ciò che credo». Ma questi adolescenti non conoscono la sintassi della relazione, questo sapere non è stato trasmesso, non hanno interiorizzato che la libertà di essere è figlia della castrazione della libertà di fare e di godere; e così dileggiano professori, angosciano i genitori e cercano di portare a spasso i terapeuti evocando la libertà – di fare e in questo caso di godere – a giustificazione di ogni loro aggiramento del limite che, a loro dire o sentire, sarebbe solo un dispositivo coercitivo estraneo alla nuova democrazia che ha nella libertà di godimento il suo compiuto orizzonte.

CR