Il fraintendimento della funzione psicoterapeutica
La parola psicoterapia è evocativa, mai neutra quando viene suggerita. Percepita più spesso dalle donne come un’opportunità, dagli uomini è invece più frequentemente considerata alla stregua di una pratica dell’inutile, che è meglio evitare. A costoro sembra improbabile che qualcuno, fuor di sé stessi, possa essere d’aiuto. Torcendo questa posizione in modo da comprenderne la verità emotiva sottesa, s’intende che alla base c’è un fraintendimento. Se si considera infatti lo psicoterapeuta depositario di un «potere», sia pure di cura, allora è difficile per uomo infragilito dalla sofferenza accettare questo se pur dichiarato aiuto, che viene piuttosto percepito come un’ulteriore perdita in quanto sancisce in modo definitivo la propria insufficienza nel cavarsela da soli.
Insomma, se vogliamo dirla in termini analitici, la psicoterapia è percepita in questo caso come l’ennesima castrazione, da rifiutarsi senz’altro per salvare quel poco che rimane di autostima. Al contrario, lo psicoterapeuta svolge una funzione, particolarissima, dove è necessaria adeguata competenza tecnica, controllo emotivo ed esperienza per accompagnare il soggetto – non ancora paziente – a rettificare la propria posizione rispetto ai problemi in cui incorre e a guardare dentro di sé entrando in contatto con la sua parte più profonda e intima. Lo psicoterapeuta non è un’autorità e neppure un maestro, è piuttosto un Virgilio che accompagna, con poche e discrete parole, il suo Dante nell’ascesa dagli Inferi della cieca sofferenza emotiva alle consapevolezze rappacificanti del Paradiso.
CR