Il maladaptive daydreaming nell’adulto affetto da ADHD

Quando siamo a riposo – ovvero quando non siamo reclutati in un’attività per cui sia necessaria una concentrazione della mente focalizzata e persitente – tutti siamo in modalità mind wondering. Tutti, pertanto, facciamo quest’esperienza che si presume si estenda per il 50% della nostra attività mentale nello stato di veglia.

I neuroscienziati ci spiegano che in quest’evenienza è attiva una rete neurale distribuita in diverse regioni corticali e sottocorticali denominata Default Mode Network. È questo un modo di funzionamento della nostra mente importante che ci consente di declinarci in funzioni cognitive di grande utilità quali la capacità di accedere ai ricordi della propria vita (memoria episodica autobiografica), di riflettere sui propri e altrui stati mentali, di provare emozioni in relazione a contesti sociali che ci riguardano e, infine, di valutare le reazioni proprie e degli altri in alcune situazioni emotive.

Nella condizione di normalità questa rete neurale si disattiva quando ci è richiesto di svolgere compiti che richiedono un’attenzione focalizzata. Nell’ADHD questo tipo di alternanza è compromesso, c’è quindi una disfunzione nella reciproca interazione tra la rete neurale del Default Mode Network e le strutture del controllo esecutivo. Questo è il momento in cui il mind wondering si trasforma nel maladaptive daydreaming. Il risultato è che il livello dell’attenzione si riduce rapidamente nelle attività routinarie, ripetitive, ricche di dettagli quali lo studio, la compilazione di moduli, l’ascolto. Solo quando il soggetto si coinvolge in attività per lui estremamente interessanti gli/le è possibile mantenere l’attenzione per lungo tempo. In genere però non succede e quindi quando ci si interfaccia con queste persone si sperimenta la spiacevole sensazione di non capire se stanno davvero ascoltanto; inoltre, il loro discorso è prolisso, le risposte non sono concise e può essere difficile coglierne il senso, portando l’interlocutore a dover riformulare le domande. Ciò accade perché chi è affetto da ADHD tende a perdersi nei propri pensieri (maladaptive daydreaming), anche quando gli si rivolge direttamente la parola. Ma ciò accade anche durante la visione di un film, la lettura di un libro o l’ascolto di una lezione all’università. Non è quindi un caso che alcuni pazienti evitino queste attività adducendo come scusa il fatto che sono noiose, poco interessanti; in realtà a ragione del malfunzionamento della rete neurale del Default Mode Network si perdono parti del film, del testo o della lezione poiché rapiti dai loro pensieri.

Per queste persone il maladaptive daydreaming può avere un forte impatto sulla vita quotidiana: possono trascurare le responsabilità, isolarsi socialmente e avere difficoltà nel mantenere relazioni soddisfacenti. Sono frustrati dall’incapacità di dirigere la loro attenzione su attività premianti e sperimentano un senso di impotenza. Pertanto, se il mind wondering è tipicamente associato a stati d’animo neutri/positivi, come la creatività o il rilassamento, al contrario il maladaptive daydreaming può essere associato a stati d’ansia, a flessione del tono timico e alla percezione spiacevole di essere disconnessi dalla realtà.

Ora, se il maladptive day dreaming è una caratteristica clinica peculiare dell’ADHD, non deve però essere confuso con altre condizioni di apparente vagabondaggio mentale proprie di altre condizioni cliniche quali: l’ansia, in cui l’attenzione è aspirata dalla tensione emotiva, dall’aspettativa dell’imminenza della disgrazia, dalla disfunzione d’organo; la depressione, dove il flusso delle idee si polarizza su tematiche di colpa o di rovina ed è sordo al richiamo della parola dell’Altro che cerca di infondere speranza; il disturbo post-traumatico da stress, in cui l’attività mentale dell’individuo è ostaggio di flashback e di pensieri intrusivi o rivive continuamente l’esperienza traumatica con il fine di rielaborarla ma con l’effetto di rallentare il processo di guarigione; la schizofrenia, in cui la disorganizzazione del pensiero e le allucinazioni, se non esplicitate, possono dare all’interlocutore l’impressione di essere innanzi a un individuo risucchiato in un altrove, che non è però propriamente espressione di un deficit del funzionamento del Default Mode Network come accade nell’ADHD; infine il disturbo ossessivo compulsivo, dove l’attività mentale si polarizza sull’ossessione ed è finalizzata a mettere in atto i rituali (compulsioni) necessari per ridurre la pressione delle ossessioni stesse.