La virtù della «misura»

Che cosa è la «misura» nelle cose, nelle emozioni, nelle aspettative? Cosa comporta la perdita della misura? Meglio, perché trattenersi, perché preferire la sobrietà quando si può disporre di ogni piacere? Ecco la domanda cruciale, qual è la virtù della misura? La legge misura i comportamenti, ma che cosa misura le emozioni e i desideri? La risposta è la «legge non scritta della vita», in psicoanalisi diremmo la «legge della castrazione». L’ordinamento che il nostro tempo «fuori misura» aborre.

Di che cosa sto parlando? Del fatto che non tutto è possibile e soprattutto dell’accettazione di questo fatto umano tanto evidente quanto oggi inviso. Siamo transitati dal tempo in cui una morale coercitiva era la misura necessaria della convivenza civile – che imponeva il differimento continuo e quindi il soffocamento della soddisfazione personale – a un’epoca che aborre ogni limite al più compiuto e immediato piacere. Per fare un esempio, accediamo a prestiti per acquistare oggetti futili che promettono piacere: è l’illusione del nostro tempo in cui il «nuovo» è la felicità. E in questa era che si declina nella ricerca del «sempre nuovo» la misura è fastidio, intoppo, angoscia, un molesto orpello del passato che vorrebbe limitare l’accesso senza filtri a ogni dimensione del piacere. Non è infatti nel piacere che oggi sentiamo realizzata la nostra vita? È un abbaglio in cui crediamo ciecamente. Se non infarciamo di vacanze e oggetti nuovi lo scandire dei nostri giorni ci sentiamo infelici, non realizzati. Insomma, «più che si può e possibilmente subito», anche indebitandoci o peggio correndo rischi.

In questo contesto la misura è il nemico. Eppure solo in questa, mi pare, vi è speranza. Perché quando tutto non è subito, in quest’attesa si corrobora l’esperienza del desiderio. La misura induce all’attesa e l’attesa al desiderio. E che cosa è la nostra vita senza il desiderio, senza la possibilità di declinare la nostra esistenza nella vivificante tensione di un orizzonte? Ecco la virtù della misura, garante della possibilità del desiderio, che ci salva dall’abisso piatto del «tutto e subito».  

CR