Prima di parlare bisogna ascoltare
Tutti abbiamo visto persone litigare. E cosa le accomuna tutte? L’incomunicabilità. Guardando bene, ognuno dei due contendenti espone, o peggio urla le sue ragioni, ma nessuno ascolta. Così i toni si alzano e con essi precipita la possibilità di capirsi, così che alla fine non resta che distanza. Ognuno rinchiuso nella torre della sua ragione, roso dalla rabbia e animato dal demone della rivincita, coltiva idee di rivalsa che lo renderanno sempre più solo. In questo orizzonte l’Altro non c’è. Può pur essere che ci abbia fatto un torto, e che abbiamo in qualche misura ragione, ma di certo non abbiamo ascoltato la sua ragione. Perché? Forse perché il suo dire o fare ci ha troppo feriti. Ma questo accade quando ci sentiamo al centro del mondo e consideriamo gli altri alla stregua di satelliti, la cui eccedenza ci infastidisce se non ferisce. Come il sole emana i suoi raggi di continuo, rischiamo di parlare di continuo senza coltivare l’arte dell’ascolto.
Già, ma per ascoltare è necessario un movimento emotivo particolare per il quale ci disponiamo a un cedimento, in cui riconosco che la verità su di noi passa attraverso il nostro interlocutore. Cerco di spiegarmi: la mia verità mi appiattisce, quando la enuncio io non sono che questa. La verità dell’altro, proprio perché è diversa dalla mia è, invece, un dono. Certo, al patto che riesca ad ascoltarla. Ma se il miracolo avviene, quella verità, così diversa dalla mia, mi espone al punto di vista dell’altro che, se davvero ascoltato, apre a una mia mancanza, a una mia insufficienza, a un mio timore che – riconosciuto, ammesso e raccontato – apre al dialogo, se questo è anche il movimento dell’Altro. Cosa ne viene? La magia è che le due verità inconciliabili in questo caso si instraderanno su una terza via, che unisce e non divide. Ecco perché è meglio non pensare di avere la ragione in tasca. Ma come si fa a praticare un’arte relazionale così raffinata, che ha il suo esordio nel permettere alle parole dell’Altro di disvelare una nostra faglia? Non è facile; ma per iniziare direi di anteporre alla passione per la nostra ragione la curiosità per quella altrui. Questo è il primo movimento virtuoso senza il quale il processo di una ragione condivisa non prenderà mai avvio.
CR