Quando gli uomini si travestono da donne
Quanta confusione! È difficile raccapezzarsi di fronte al fenomeno del travestitismo.
All’inizio, ormai nel secolo scorso, quando venne coniato il termine «travestito» la materia era trattata in modo abbastanza ingenuo. Il termine travestito indicava una persona che si abbigliava con abiti del sesso opposto. Questo comportamento lo si considerava un’espressione comportamentale bizzarra, sottesa probabilmente a un orientamento omosessuale in soggetti per lo più di sesso maschile. Al contrario la percezione sociale delle donne travestite da uomini era pressoché assente poiché le donne i pantaloni li indossavano già da tempo, a differenza degli uomini per i quali la gonna neanche oggi appartiene al loro outfit, con l’eccezione degli scozzesi. Poi, in ossequio alla crescente ossessione della stigmatizzazione, abbiamo iniziato a utilizzare il termine cross-dressing per riferirci ai trasvestiti, con il dichiarato intento di non identificare la persona con il comportamento e cercando quindi di fare segno di questo nel modo più neutro possibile, ovvero ripulito di qualsivoglia venatura giudicante. Siamo quindi transitati dal travestito, che era una persona, al cross-dressing, che è un comportamento; e qui sono, adesso, per discorrere sulle ragioni sottese.
Ora, per aiutare a comprendere l’intricato prodotto del conquistato svincolo da qualsivoglia restrizione culturale di genere, è necessario riferirsi a tre concetti base relativi sessualità umana quali l’identità di genere, il ruolo di genere e l’orientamento sessuale. Tutte le società hanno una serie di categorie di genere che possono servire come base per la formazione dell’identità sociale di una persona in relazione agli altri membri della società. L’identità di genere è il senso di appartenenza di una persona a un genere con il quale essa si identifica (cioè, se si percepisce uomo, donna, o in qualcosa di diverso da queste due polarità). L’identità di genere non deriva necessariamente da quella biologica della persona e non riguarda l’orientamento sessuale. L’identità di genere può essere correlata al sesso assegnato alla nascita o può da questo differire. Il ruolo di genere è invece relativo alla rappresentazione di tutto quello che un individuo dice o fa per indicare agli altri, ma anche a se stesso, il grado del suo essere e appartenere al genere maschile o femminile. Infine, l’orientamento sessuale indica l’attrazione emozionale, romantica e/o sessuale di una persona verso individui di sesso opposto, dello stesso sesso o di entrambi. In alcuni casi viene considerata un orientamento sessuale anche l’asessualità, cioè la scarsa o nulla attrazione verso persone del sesso opposto o dello stesso sesso. Bene, se i tre concetti sopra esposti sono abbastanza chiari, possiamo provare a scrutare nel comportamento del cross-dressing per comprendere le diverse istanze sottese agli uomini che si travestono da donne.
Per primo potremmo trovarci innanzi a un transessuale che, da una prospettiva medico-scientifica, è colui che soffre di un Disturbo dell’Identità di Genere. Tali individui, indistintamente uomini e/o donne, non sentono di appartenere al proprio sesso biologico di riferimento e adottano strategie medico-ormonali/psicologico-comportamentali e socio-relazionali per «trasformarsi» nel sesso desiderato. Un uomo che vuole adeguare la sua identità fisica con quella psichica viene definito MtoF (Male to Female), una donna che mette in atto un simile adeguamento FtoM (Female to Male). L’utilizzo di indumenti appartenenti al sesso opposto diventa per gli individui transessuali di fondamentale importanza perché permette il conformarsi e il rappresentarsi con l’identità di genere desiderata. Solitamente i transessuali mettono in atto comportamenti di cross-dressing a prescindere dalla Rettificazione Chirurgica del Sesso (RCS). Può anche accadere che alcuni transessuali, per paura di affrontare l’intervento chirurgico del cambiamento di sesso, decidano di rimanere in uno stato di «transizione». In queste persone l’indentità di genere e il ruolo di genere risultano essere egodistonici mentre l’orientamento sessuale risulta essere prevalentemente eterosessuale rispetto al genere desiderato, ma si riscontrano anche orientamenti di tipo omosessuale e bisessuale.
Un transgender è un individuo (maschio e/o femmina) tendenzialmente soddisfatto del sesso biologico di appartenenza, ma che preferisce occupare un ruolo sociale con tratti del comportamento manifesto associati a quelli del sesso opposto. Quindi l’identità di genere è conforme al sesso biologico di riferimento, mentre il ruolo di genere è egodistonico rispetto al contesto sociale di riferimento. Tende a mettere in atto accorgimenti per essere più credibile socialmente: cross-dressing, chirurgia estetica (labbra, zigomi, seno, glutei…), anche terapia ormonale (spesso senza un controllo di tipo medico). L’orientamento è tipicamente omosessuale, ma alcuni si definiscono bisessuali. Per quanto la loro identità di genere non sia conforme con quella sentita, non aspirano alla riconversione chirurgica del sesso e preferiscono rimanere in una dimensione di tipo transgender.
Androgino è un individuo (uomo e/o donna) soddisfatto del sesso biologico di appartenenza, quindi in equilibrio con la propria identità di genere. Vive il proprio ruolo di genere in egosintonia, ovvero si comporta in modo coerente con l’identità di genere sentita e vissuta. L’unico elemento che lo contraddistingue è la percezione che gli altri, il sociale, potrebbero avere relativamente al suo modo di abbigliarsi e/o comportarsi. Infatti, gli androgini utilizzano elementi di cross-dressing per ottenere soddisfazioni di tipo psicologico e/o sociali. Per esempio una donna che decide di non indossare mai un capo tipicamente femminile come la gonna, oppure un uomo che decide di indossare degli orecchini, oppure si cura in modo minuzioso le sopracciglia. Spesso questi elementi di tipo androginico sono socialmente rappresentativi di una moda o tendenza del periodo di riferimento. L’orientamento sessuale può essere indistintamente eterosessuale, omosessuale o bisessuale. Oggi la fluidità di ruolo di genere rappresenta anche una sorta di moda. Un cantante o personaggio dello spettacolo che ostenti una certa fluidità rappresenta un punto a favore e attrae al punto da ricevere un seguito maggiore di pubblico. Nel mondo della musica iconico in Italia l’esempio di Achille Lauro, in arte Lauro de Marinis, che gioca sulla sua fluidità nel trucco e nell’abbigliamento. Altro artista, sempre cantante, che si è contraddistinto per il suo aspetto fluido è il frontman dei Maneskin, Damiano David. Entrambi però si definiscono eterosessuali. Il loro sarebbe solo un giocare con la propria identità di ruolo di genere.
I gender mimic (meglio conosciuti come «drag queen» e «drag king») sono uomini e donne in cui identità e ruolo di genere sono in egosintonia, l’orientamento è indistintamente eterosessuale, omosessuale o bisessuale e che mettono in atto comportamenti sociali di cross-dressing essenzialmente per fare spettacolo solitamente in teatro, televisione o locali di tendenza.
Non è certo una novità che l’uomo si travesta e in particolare che lo faccia a teatro. Dall’antica Grecia al teatro Kabuki giapponese, da Shakespeare all’opera settecentesca, gli uomini hanno sempre indossato abiti femminili per calcare le scene. Come è noto, divieti politici, morali e religiosi hanno impedito a lungo alle donne di salire sul palcoscenico. Tuttavia, quando finalmente le attrici hanno fatto la loro comparsa, il fenomeno del travestitismo maschile non è scomparso. Esiste, chiaramente, anche il travestitismo femminile, ma ha connotazioni ben differenti. Da un lato l’abbigliamento femminile, più vario e più appariscente, con tutti i suoi svariati orpelli, offre maggiori e più fantasiose possibilità agli uomini per mascherarsi; dall’altro la struttura maschilista del mondo ha fatto e fa sì che il travestimento delle donne passi in secondo piano e sia meno stigmatizzato, in quanto funzionale all’affermazione della società fallocentrica.
La pratica travestitica delle drag queen non aspira all’adesione totale all’immagine femminile, come nel caso dei transessuali, ma è un’attività performativa: un’imitazione esplicita, esagerata, esibita ed esibizionista. Le teorie femministe hanno spesso considerato il drag misogino e degradante per l’immagine della donna, ma il travestitismo delle regine non è affatto acritico. Al contrario, mette in luce la fallibilità delle categorizzazioni sessuali di una società eterodiretta. Con parrucche esorbitanti, costumi scintillanti e l’irriverente eleganza che le contraddistingue, la performance delle drag queen mette in discussione proprio quell’unità di sesso e di genere che è stata a lungo sostenuta, e lo fa attraverso l’espediente dell’ironia e della parodia. Afferma Judith Butler: «Nell’imitare il genere, il drag rivela implicitamente la struttura imitativa del genere stesso, nonché la sua contingenza». Oggi il drag, che è pur sempre stato legato ai palcoscenici, è diventato in gran parte un fenomeno commerciale, volto a esibizioni da discoteca. Nonostante sia in un certo senso svilito della sua valenza sociale, continua a mettere in croce gli stereotipi sessuali della nostra cultura. Con la loro eccentrica esuberanza, le drag queen smascherano la crisi delle cosiddette identità di genere, definite da confini sempre più labili. L’ostentazione esagerata di cliché femminili ne smaschera l’insita finzione. In fondo, come dichiara la drag star RuPaul: «We’re all born naked and the rest is drag», ovvero «Nasciamo tutti nudi e il resto è travestimento».
L’omosessuale travestito è un individuo principalmente di sesso maschile che, pur riconoscendo di appartenere al genere biologico di riferimento, decide di utilizzare indumenti o oggettistica del sesso opposto, travestendosi. In queste persone la rappresentazione del ruolo sociale appare rovesciata, l’orientamento sessuale è di tipo omosessuale ma non è presente una disforia di genere ovvero sono egosintonici rispetto al loro sesso biologico. Questi individui talvolta tendono a imporre il proprio vissuto esasperando l’aspetto del sesso opposto e con ciò suscitando atteggiamenti omofobi del sociale. Un esempio è Alben (Michel Serrault) che nel famoso film Il vizietto è un omosessuale che indossa costantemente i panni del sesso opposto e la sera si esibisce come drag queen nel locale del fidanzato (Ugo Tognazzi). Dal punto di vista clinico spesso gli omosessuali travestiti potrebbero apparire confusi e dichiararsi transessuali. Distinguere tra omosessuali travestiti e transessuali è atto clinico di fondamentale importanza, poiché l’eventuale riconversione chirurgica del sesso nei primi determina importanti scompensi emotivi.
Proseguendo nella nostra galleria ci sono i viados. Il termine è una italianizzazione della parola veado (slang brasiliano) che significa «cervo», solitamente associato al termine volgare omosessuale («frocio», «ricchione», «finocchio»…). In Italia tale termine è stato stravolto e spesso associato a transessuale, deviato ecc. In realtà i viados sono uomini di nazionalità sud americana che si abbigliano con indumenti femminili e decidono di sottoporsi a interventi chirurgici di tipo plastico (mammoplastica, rinoplastica, liposuzioni) e a terapie ormonali con il fine di prostituirsi. L’identità di genere è «confusa» e il ruolo di genere «invertito». L’orientamento sessuale è tendenzialmente di tipo omosessuale, ma anche bisessuale. Spesso alcuni viados hanno un Disturbo dell’Identità di Genere e quindi si orientano verso una Rettificazione Chirurgica del Sesso, altri invece una volta raggiunto l’obiettivo economico prefissato tornano nel loro paese di origine, spesso da una famiglia dove sono presenti moglie e figli.
Nel feticismo di travestimento è l’eccitamento sessuale a disvelare la ragione del travestimento. Riguarda individui che, a prescindere dal genere e dall’orientamento sessuale, si travestono per procurarsi una particolare eccitazione e soddisfazione erotico-sessuale solitamente con una partner di sesso femminile. Anche se lo status di eterosessuale maschio viene riportato come preferenziale, una percentuale minore di uomini con feticismo di travestimento ha un orientamento omosessuale, o bisessuale. A ogni modo il nucleo centrale del Feticismo di Travestimento è nell’eccitamento sessuale che si correla al comportamento di cross-dressing. Questo oscilla dal semplice indossare un abbigliamento intimo femminile sotto abiti maschili (culotte, autoreggenti ecc.), a vestirsi e truccarsi come una donna in privato ma più spesso per mostrarsi in pubblico. Pertanto l’eccitazione sessuale può verificarsi in concomitanza con il travestimento in diversi modi. Nei maschi giovani il cross-dressing si associa alla masturbazione, dopo la quale tutti gli indumenti femminili vengono dismessi. I maschi più anziani, invece, tendono a indossare capi di intimo femminie evitando di masturbarsi e prolungando così l’eccitamento correlato al cross-dressing. I maschi con partner femminili portano a termine pratiche di cross-dressing con un rapporto sessuale, e può essere che alcuni abbiano difficoltà a mantenere l’erezione in assenza del travestimento.
Pertanto, a voler essere precisi, i feticisti di travestimento non costituiscono una categoria omogenea poiché per alcuni l’eccitamento è procurato solo dall’indossare un indumento femminile, per altri l’eccitamento si corrobora nel fantasticare di sé come femmina, dall’immaginarsi di attrarre l’attenzione degli uomini (autoginefilia). L’autoginefilia deve però essere distinta dall’omosessualità; infatti, gli autoginefili spesso interagiscono sessualmente con le donne e possono presentarsi come lesbiche quando travestiti. La caratteristica distintiva del soggetto con autoginefilia è l’attrazione erotica non verso un’altra persona, maschile o femminile, ma piuttosto verso un’idea interiore: l’idea di sè come donna. Le fantasie e i comportamenti autoginefilici possono anche focalizzarsi sull’idea di esibire caratteristiche fisiologiche femminili (allattamento, mestruazioni) e di intraprendere azioni femminili stereotipate (lavorare la maglia, spolverare suppellettili). Per gli autoginefili può accadere che si sviluppi gradualmente il desiderio di rimanere nel ruolo femminile per periodi più lunghi e successivamente di femminilizzare la loro anatomia. In questi casi si riduce la valenza eccitante del travestimento ed emerge una disforia di genere e un disagio nel conformarsi al ruolo di genere che indica la dissonanza venutasi a costituire tra l’anatomia e l’identità psicologica del soggetto. Insomma l’autoginefilia potrebbe anche essere, almeno in alcuni casi, una terra di confine tra la devianza sessuale e la disforia di genere.
Termino qui sottolineando che in ognuno dei comportamenti descritti gli individui hanno in comune la caratteristica di abbigliarsi con indumenti e accessori tipici del sesso opposto, ma è superficiale fermarsi all’evidenza del travestimento, bisogna andare a indagarne la ragione e il bisogno sotteso. Insomma, gli uomini si travestono da donne? Accade, e non di rado, e provare a comprendere piuttosto che giudicare è una sfida che è bene accettare.
CR