Sopravvivere emotivamente a una diagnosi. Quando la malattia e la prospettiva di morte non sono più degli altri
Accade di ricevere una diagnosi. Sto parlando di una diagnosi duratura, di qualcosa che dalla sua formulazione ci accompagna e segna la vulnerabilità della nostra vita. È il momento in cui l’esistenza cambia, per sempre; è una soglia che si attraversa, dove il velo illusorio che ci protegge dal trauma del «reale» cade e la nostra diventa una «vita esposta».
La morte non è più degli altri, ma un orizzonte concreto che spaventa e designifica ciò che vi era prima. L’esistenza diventa deserto. La miseria stagnante della malattia di oggi contrasta con la frenesia, drammatica o gioiosa, della vita di ieri. Sino a un giorno prima ci angustiavamo della nostra «mancanza a essere», ora vi precipitiamo senza appello. Dal nostro profondo ora sgorga l’angoscia, la rabbia, la paura. Intorno a noi parole nuove, di circostanza, di speranza, di dissimulazione e buon senso.
Che cosa è accaduto? Il «reale crudo» della percezione della nostra finitezza ha bucato il velo protettivo della routine quotidiana, la nostra rassicurante realtà. Dormivamo accuditi dalle certezze e il trauma della diagnosi, ovvero il trauma del reale, ci ha svegliato e ci impedisce ora il sonno. La diagnosi ci ha messi di fronte al nostro limite, ha scompaginato l’onirica protezione degli impegni e dei passatempi del quotidiano. Il «reale della vita» brucia e abbiamo smarrito l’antidolorifico della «realtà quotidiana».
Che cosa fare allora? Tornare a dormire, recuperare il «sonno della realtà». Per sopravvivere e soprattutto per continuare a essere «insieme» a coloro che abitano il nostro quotidiano, dobbiamo riagguantare il velo illusorio della realtà che la diagnosi, il trauma del reale, ha inciso e stracciato. Per attutire la scabrosa asperità del reale va bene tutto. Sino alla diagnosi abbiamo vissuto protetti dallo schermo della realtà, poi questa lo ha infranto creando una clamorosa discontinuità nella nostra onirica illusione di immortalità. E adesso, per continuare a essere, dobbiamo schermare di nuovo la nostra vita, riappropriarci di quel che resta di quel velo per coprire il più possibile lo squarcio provocato dalla diagnosi. Per vivere dobbiamo emanciparci dal reale e riapprodare alla realtà, dobbiamo tornare a dormire.
CR